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della
giurisprudenza
di
legittimità,
rientrerebbero
tuttavia
nel
campo
applicativo
della
norma
incriminatrice
anche
ipotesi
diverse
e
assai
meno
gravi
di
quelle
ora
indicate,
quale
la
privazione
della
libertà
di
una
persona
finalizzata
a
conseguire
–
come
nel
caso
oggetto
del
giudizio
a
quo
–
il
pagamento
di
un
debito
derivante
da
un
pregresso
rapporto
di
natura
illecita.
Proprio
in
base
a
tale
considerazione,
la
Corte
costituzionale
ha
dichiarato
costituzionalmente
illegittimo
l’art.
630
cod.
pen.,
nella
parte
in
cui
non
prevede
una
circostanza
attenuante
per
i
fatti
«di
lieve
entità»,
corrispondente
a
quella
prefigurata
dall’art.
311
cod.
pen.
in
rapporto
al
delitto
–
strutturalmente
omologo,
ma
che
aggredisce
interessi
di
rango
più
elevato
–
del
sequestro
di
persona
a
scopo
di
terrorismo
o
di
eversione.
La
stessa
Corte
costituzionale
avrebbe,
dunque,
già
riconosciuto
che
possono
esservi
sequestri
di
persona
a
scopo
di
estorsione
«di
lieve
entità»
per
le
modalità
esecutive
del
fatto
e
il
danno
arrecato
alla
vittima.
In
tali
casi
–
nei
quali
l’azione
criminosa
può
essere
frutto
di
iniziative
contingenti,
che
non
implicano
un’organizzazione
di
persone
e
di
mezzi
e
che
recano
solo
una
limitata
offesa
ai
beni
protetti
(libertà
personale
e
patrimonio)
–
la
sottrazione
al
giudice
della
possibilità
di
applicare
misure
cautelari
diverse
da
quella
carceraria
risulterebbe
priva
di
base
razionale.
Per
questo
verso,
la
norma
censurata
violerebbe,
dunque,
sia
l’art.
3
Cost.,
tenuto
conto
anche
del
fatto
che
la
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
sola
misura
carceraria
non
è
prevista
in
rapporto
a
reati
di
maggior
disvalore
e
più
severamente
puniti
(quali
la
strage
o
l’omicidio
pluriaggravato);
sia
gli
artt.
13,
primo
comma,
e
27,
secondo
comma,
Cost.,
in
quanto
detta
presunzione
assoluta
non
risulterebbe
basata
sulla
specificità
della
fattispecie
penale
di
riferimento
e
impedirebbe
al
giudice
di
tenere
conto
delle
particolarità
del
caso
concreto,
in
contrasto
con
il
principio
del
«minimo
sacrificio
necessario».
Considerato
in
diritto
1.–
Il
Giudice
dell’udienza
preliminare
del
Tribunale
di
Bologna
dubita
della
legittimità
costituzionale
dell’articolo
275,
comma
3,
del
codice
di
procedura
penale,
come
modificato
dall’articolo
2
del
decreto-‐ legge
23
febbraio
2009,
n.
11
(Misure
urgenti
in
materia
di
sicurezza
pubblica
e
di
contrasto
alla
violenza
sessuale,
nonché
in
tema
di
atti
persecutori),
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
23
aprile
2009,
n.
38,
nella
parte
in
cui
non
consente
di
applicare
misure
cautelari
diverse
e
meno
afflittive
della
custodia
in
carcere
alla
persona
raggiunta
da
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
al
delitto
di
sequestro
di
persona
a
scopo
di
estorsione
(art.
630
del
codice
penale).
Il
giudice
a
quo
reputa
estensibili
ai
procedimenti
relativi
a
detto
reato
le
considerazioni
che
hanno
già
indotto
questa
Corte
a
dichiarare
costituzionalmente
illegittima
la
norma
censurata
in
rapporto
a
numerose
altre
figure
criminose.
Al
pari
di
queste
ultime,
neppure
il
delitto
previsto
dall’art.
630
cod.
pen.
potrebbe
essere
assimilato
ai
delitti
di
mafia,
in
relazione
ai
quali
la
Corte
ha
ritenuto
giustificabile
la
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
sola
custodia
cautelare
in
carcere,
stabilita
dalla
disposizione
sottoposta
a
scrutinio.
Alla
luce
dei
correnti
indirizzi
giurisprudenziali,
infatti,
il
sequestro
di
persona
a
scopo
estorsivo
può
essere
integrato
da
fattispecie
concrete
di
disvalore
fortemente
differenziato,
tanto
sul
piano
delle
modalità
della
condotta
che
dell’offesa
agli
interessi
protetti,
le
quali
potrebbero
bene
proporre
anche
esigenze
cautelari
suscettibili
di
essere
soddisfatte
con
misure
diverse
dalla
custodia
carceraria.
La
presunzione
censurata
si
porrebbe,
di
conseguenza,
in
contrasto
–
conformemente
a
quanto
già
deciso
dalla
Corte
–
con
i
principi
di
eguaglianza
e
di
ragionevolezza
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